Chi l’ha scelto e perché: Il volto è stato scelto da Bergamo pride perché come associazione crediamo che sia estremamente importante lottare e lavorare per un presente e un futuro migliore, per la comunità LGBTQIA+ e non solo, ma è anche importante non dimenticare da dove siamo partit*. Non possiamo quindi non ricordare una figura come Marsha P. Johnson che ha partecipato attivamente ai moti di Stonewall Inn e che ha creato il concetto di pride, insieme a Sylvia Rivera, attraverso la prima parata del 1970 con il nome di Gay Liberation Front.
Biografia: Nata nel 1945, Marsha era cresciuta nell’ambiente conservatore della Chiesa africana metodista episcopale, senza ricevere il sostegno dei genitori quando aveva fatto coming out per questo appena poté si era trasferita nel quartiere di Greenwich Village a New York, in cui la comunità LGBTQIA+ reclamava già i propri spazi; lì Marsha P. Johnson, cambiò ufficialmente il suo nome omaggiando il ristorante Howard Johnson che dava ospitalità alla popolazione queer e rispondendo, a chi le chiedeva per cosa stesse la “P.”, con la famosa frase “Pay no mind”, cioè “Non farci caso”. Lì, impiegata prima come cameriera e poi come sex worker, Marsha diventò ben presto una delle drag queen più famose di New York. Chi la conosceva era solito dipingerla come una personalità vivace e travolgente, dai tratti androgini e stravaganti, che riusciva ad avere sempre la risposta pronta, e non è quindi un caso che proprio lei sia stata poco dopo protagonista dei moti di Stonewall del 1969 e della storia dei diritti LGBTQIA+ negli Stati Uniti.
Pur non essendo presente fin dall’inizio alla prima notte di scontri allo Stonewall Inn, Marsha partecipò infatti nei giorni seguenti alle proteste di chi non voleva seguire la polizia in caserma solo perché di orientamento omosessuale, e diede vita insieme a Sylvia Rivera al concetto del Pride sopravvissuto fino ai nostri giorni: furono loro le icone delle prime rimostranze queer contro le forze dell’ordine, loro a creare le prime parate nel 1970 sotto il nome di Gay Liberation Front e sempre loro a fondare l’associazione Street Transvestite, Action Revolutionaries (STAR), la prima nella storia ad avere a capo una donna transgender e una nera. Il loro obiettivo era quello di dare sostegno e ospitalità a sex worker e trans senza una dimora fissa, anche se le loro intenzioni vennero osteggiate a lungo e le costrinsero a chiudere battenti. Marsha venne esclusa dalle parate e osteggiata nelle sue iniziative e non venne mai riconosciuta dalla comunità queer a causa della sua identità di genere, nonostante ciò, si impegnò sempre e comunque nella lotta alla sensibilizzazione contro l’AIDS e nelle proteste per i diritti LGBTQIA+ durante tutti gli anni Ottanta.
Marsha venne trovata morta con una grave ferita alla testa nel fiume Hudson una mattina di luglio del 1992. La polizia etichettò subito l’episodio come un suicidio, nonostante le persone vicine a lei sospettassero che fosse stata uccisa da un omofobo della zona. L’indagine venne riaperta solo nel 2012 e venne definita un “possibile omicidio”. Nel 2017 la sua amica e attivista Victoria Cruz girò il docufilm “The Death and Life of Marsha P. Johnson” mentre intanto nella sua città natale ci si preparava a inaugurare la prima statua dedicata alla figura di Marsha, che è stata voluta da una petizione con oltre 166mila firme e collocata nel 2021 al posto di quella di Cristoforo Colombo. A oggi restano misteriose le circostanze della morte della cosiddetta “drag mother nera”, ma il valore delle sue azioni è stato riconosciuto da chiunque abbia a cuore le rivendicazioni della comunità LGBTQIA+.